Esclusa per far posto alla figlia del barone, l'università di Bari ora pagherà

Il Consiglio di Stato dà ragione alla Mallamaci: doveva essere assunta lei al posto della Stipani. Con centinaia di migliaia di euro come risarcimento

Costerà un bel po’, centinaia di migliaia di euro, all’Università di Bari la mancata assunzione per otto anni della ricercatrice Rosanna Mallamaci, alla facoltà di Farmacia. Una vicenda, iniziata nel 1998 e definitivamente conclusasi con la pronuncia del Consiglio di Stato, che nei giorni scorsi ha ordinato il risarcimento dei danni (da quantificare) in favore della donna.
Ben sei ricorsi hanno segnato le tappe di una delle tante Parentopoli baresi: quella che ha visto per anni contrapposte, da una parte la dottoressa Rosanna Mallamaci, dall’altra la figlia dell’allora direttore del dipartimento di Farmacia, Valentina Stipani, partecipanti allo stesso concorso.
 
La vittoria della Stipani, che ha resistito otto anni nonostante quattro pronunce (due del Tar e due del Consiglio di Stato), è diventata anche oggetto di due fascicoli di inchiesta, uno alla Procura ordinaria e uno alla Corte dei conti. A sollecitarne l’intervento erano stati gli stessi giudici amministrativi, che avevano parlato di abusi evidenziando «l’intento della facoltà di conservare il posto alla figlia di un suo docente». Durante il tortuoso iter concorsuale, ben due componenti delle commissioni si erano dimessi ed erano state riscontrate numerose irregolarità. Nel settembre 2006 Rosanna Mallamaci aveva ottenuto finalmente la sua cattedra, ma la sua concorrente non aveva mollato, presentando un nuovo ricorso.
 
Nel 2012 era arrivata la decisione del Tar Puglia sul ricorso presentato dalla Mallamaci, assistita dal suo legale Maurizio Di Cagno, che dopo aver subito per otto anni, aveva deciso di chiedere all’Università il risarcimento dei danni patiti per la ritardata assunzione e il pagamento di quanto avrebbe dovuto percepire se avesse rivestito in tempo quell’incarico.
I giudici avevano stigmatizzato il comportamento dell’Università: «Non può dubitarsi che scrivevano - a tacer d’altro, si sia in presenza di un’ipotesi di vera e propria negligenza. Certamente non risultano osservati i canoni del buon andamento; né può ritenersi che l’amministrazione regionale evocata in giudizio abbia fornito la prova liberatoria dell’assenza di colpa». E avevano quantificato un risarcimento per i danni all’immagine di 10mila euro, più quello per il danno patrimoniale, da calcolare in base agli anni di mancato pagamento. L’Università, dal suo canto, se aveva accettato il pagamento dei 10mila euro, aveva appellato invece la parte che riguardava il danno patrimoniale, sostenendo che il comportamento avuto non fosse “colpevole”, ma che si trattava di un “errore scusabile”.

Tesi non ritenuta valida dai giudici romani, per i quali le quattro sentenze del giudice amministrativo erano sufficienti per rendere chiara «l’illegittimitàdell’azione amministrativa di cui è stata destinataria la ricorrente». Il comportamento della pubblica amministrazione per il Consiglio di Stato «risulta dunque nella specie di certo colpevole - concludono - né da contesto della vicenda emerge alcuna delle esimenti idonee a giustificare per errore scusabile il comportamento, poiché mai riscontrate in giudizio né circostanziate con l’appello».
 
fonte: repubblica

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